lunedì 28 luglio 2014

L'indifferenza è il vero male nella lotta alla mafia - Incontro con PIF, Pietro Grasso e Geppi Cucciari al Festival dell'Argentiera

Una serata molto bella di grande spessore quella trascorsa Sabato 26 luglio nella stupenda cornice del Festival dell' Argentiera in compagnia di Geppi Cucciari che ha intervistato Pif,  ed il Presidente del Senato Pietro Grasso.

Il tema centrale era ovviamente la mafia, da un lato per l'erperienza di Magistrato, e dall'altro per l'esperienza di Pif, e del suo ultimo racconto cinematografico La mafia uccide solo d'estate. Due Siciliani a confronto. 

I temi di mafia sono stati affrontati con grande serietà ed allo stesso tempo con quel tocco di simpatia che solo Pif ci sa regalare, ben supportato da una Geppi in grandissima forma.

Filo conduttore sia di Pif che di Grasso è stato quello dell'indifferenza che è il male più grande nella lotta alla mafia, e che caratterizza una Palermo che ancora arranca sotto questo profilo.

Pif ha tracciato il tema dell'indifferenza riportando alla memoria i suoi ricordi di infanzia, come il commento "finchè si scannano fra loro", riferito ai regolamenti interni fra fazioni, oppure al fatto che le suore non gli facessero mai vedere film di mafia, quasi come se la mafia non esistesse.

Duri i ricordi di Pietro Grasso, nei periodi di lavoro a Palermo, citando di quando veniva emarginato dagli abitanti del quartiere  in quanto con l'apparato di protezione "davamo fastidio".

Parlando di Antimafia, Grasso ha stigmatizzato proprio il fatto che "ognuno di noi ha il dovere di fare qualcosa per cambiare questa società", e che l'indifferenza è proprio la percentuale che incide di più rispetto a coloro che invece agiscono per fare qualcosa. Allo stesso tempo, fra le iniziative antimafia, lo stesso Grasso ha ricordato quella lodevole di Comitato Addiopizzo di Palermo, nato dagli studenti, che conta oggi centinaia di aderenti, che a testa alta lotta incontro le mafie, esponendo nei loro negozi l'adesivo distintivo.
Sono stati momenti di grande commozione i ricordi che Pietro Grasso ha regalato alla platea ricordando gli anni del pool antimafia, dal ricordo di Falcone, e dell'accendino che gli diede poco prima di morire, quando decise di smettere di fumare, accendino che ancora oggi, Grasso porta sempre con se, alle parole di Caponnetto "ragazzo, vai avanti a testa alta, schiena dritta e segui sempre la voce della tua coscienza", Borsellino, di quella difficoltà di operare contro tutto e contro tutti, e di quegli insegnamenti di Legalità, rettitudine e giustizia che solo grandi uomini come loro hanno saputo sostenere, nella guerra alla mafia che ha cambiato il corso della storia giudiziaria in Italia.


Molto acuto ed interessante è stato da parte di Geppi Cucciari ripercorrere insieme a Pif ed a Grasso i 10 comandamenti di "cosa nostra", sfruttando proprio la conoscenza da parte di Grasso, maturata negli anni di lavoro a Palermo, dei meccanismi intrinsechi alla mafia stessa, aspetti che sono stati raccontati per spiegare il significato dei regolamenti, e che hanno fatto emergere lati molto particolari degli usi ed abitudini dell'organizzazione mafiosa.

Ed esilaranti come sempre i sipari di Pif, nei suoi racconti di ragazzo, di ciò che ha dato origine al suo film, racconti che hanno sempre quel retrogusto amaro, di un'Italia che ancora tanto ha da fare per riuscire a dare voce alle voci come quella di Pif, che attraverso il suo film, proiettato in lungo ed in largo in Italia, è riuscito a portare nelle scuole - con un messaggio innovativo - i temi di mafia e di legalità, riuscendo a suscitare il grande interesse degli studenti, e non solo.

Ma se da un lato la voce di Pif è riuscita a trovare una strada divulgativa, proprio il Servizio Pubblico televisivo e radiofonico spegne voci di programmi nazionali importanti come La bellezza contro le mafie di Francesca Barra, La tredicesima ora di Carlo Lucarelli, che erano invece il volano principale per dar voce alle voci che raccontano di mafia, di storie di antimafia, di esempi lodevoli ed importanti, conquistando spazio nei confronti delle mafie, dove proprio il silenzio e l'assenza di informazione creano terreno fertile per le mafie.

E lo Stato e le Istituzioni dovrebbero comprendere che invece queste voci devono restare accese, perché come diceva anche Borsellino "Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene"


Roberto Furesi

Foto Antonio Furesi

venerdì 11 luglio 2014

Saper accogliere come elemento distintivo di Civiltà di un Paese

Sono Rumeni, individuati dalla Polizia, gli autori dello stupro della Studentessa Polacca Erasmus violentata l'8 giugno del 2014
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Sono "senzatetto" Rumeni per la precisione, etichettiamoli correttamente.

Sono profondamente vicino alla ragazza ed ai suoi familiari, per questo episodio grave, avvenuto nel nostro Paese, segnale che tanta strada abbiamo ancora da fare in temi di sicurezza nelle città, soprattutto quelle più grandi come Milano, perchè ogni cittadino deve avere il diritto di poter rientrare a casa, anche alle 3 del mattino, incolume.

Quindi un tema di ordine pubblico, di regolamentazione dell'accesso al nostro Paese, di verifica permessi, di restituzione ai paesi d'origine di coloro che delinquono, e che non rispettano le nostre regole.

Ma perchè generalizzare? Perchè assimilare la parola "senzatetto" a "delinquente stupratore", perchè l'immigrato è automaticamente un parassita della società, e dobbiamo emarginarlo e rigettarlo?

Ciò che leggo oggi nei social, relativamente a questo episodio mi spinge a questa riflessione profonda.

"Sono tutti delinquenti i senzatetto, e gli immigrati "non fanno un cazzo" per la società, anzi vengono trattati meglio che gli italiani. I senzatetto mendicano agli angoli delle strade e danno fastidio, e gli immigrati scorrazzano per la città violentando, rubando e delinquendo qua e la.
I senzatetto puzzano sono brutti a vedersi, vanno scacciati da panchine e luoghi pubblici, gli immigrati vendono abusivamente, spacciano e devono essere ghetizzati in aree periferiche delle città, che diventano veri e propri Bronx."

Allora vale la pena fare un po di riflessioni aperte, schiette, per guardarci negli occhi tutti, e prendere qualche consapevolezza, che ci faccia uscire dai nostri divani, dalle nostre sale ovattate dove con una device in mano di qualsiasi tipo, possiamo pontificare, politicare e puntare il dito su questi esseri spregevoli che si aggirano nelle nostre care e belle città, sotto attacco.

Ora, secondo me un delinquente nasce delinquente anche se è di un altro paese. E se viene qua viene perchè nel nostro paese si può delinquere meglio. Questo perchè abbiamo un sistema giudiziario più mite contro reati minori, e non applichiamo misure severe quando uno straniero delinque, rimpatriandolo e revocandogli la possibilità di rientrare nel nostro paese.Iniziamo da questo, che vale anche per la delinquenza comune perpetrata da italiani, rafforziamo le pene.

Questo per i delinquenti. Ma per gli immigrati che vogliono integrarsi onestamente, che cosa facciamo? Noi cittadini che cosa facciamo? Le istituzioni che cosa fanno? Noi, alle Istituzioni, come le esortiamo, sollecitiamo? Quanti progetti solidali e di sostegno proponiamo, rispetto alle attività commerciali e di profitto che svolgiamo? le Istituzioni, quanta percentuale della loro agenda economica dedicano al risanamento di queste fasce sociali? Mancano progetti concreti di inserimento nel ciclo produttivo, di sostegno e di programmazione a livello istituzionale. Tutto è lasciato alla buona volontà ed iniziativa di poche strutture e fondazioni, ecclesiastiche e para ecclesiastiche, che cercano di trovare al loro interno percorsi di sostegno e inserimento di tantissimi ragazzi e persone che arrivano, sbandate nel nostro paese, o che, nate nel nostro Paese, si sono perse per strada, e sono anch'esse, sbandate.

Ciò che serve è fare correttamente uno spartiacque, porre controlli e regole più ferree, per valorizzare e aiutare da un lato quegli immigrati che, nel nostro paese vogliono produrre e portare valore, espellendo dall'altro i criminali e coloro che non vogliono integrarsi. Ma generalizzare, classare e uniformare non aiuta a questo prezioso lavoro di qualificazione sociale.

E la grande vertà che niente di tutto questo è in atto, a parte una riforma del Terso Settore, in approvazione in questi giorni, che dovrebbe dare impulso e spinta alle organizzazioni sociali, alle imprese sociali e quindi ad un indotto di sostegno e solidarietà che si dovrà affiancare alle Istituzioni in questo percorso.
Altro tema è quello dei senzatetto, etichettati anch'essi come delinquenti, cancro della società, "indecorosi" in alcune aree della città stessa, rifiuti viventi.

Scacciati, denigrati, emarginati e considerati nulla o poco più, dimenticati e abbandonati, vengono subito tirati in ballo quando la parola "senza fissa dimora" viene assimilata a immigrati o nazionali che compiono reati di stupro o rapine, come se la condizione fosse la sola e irrinunciabile per delinquere, come se i delinquenti, gli stupratori, i rapinatori, gli scippatori, i pedofili e qualsiasi altra categoria di pervertiti, scegliesse la condizione di "senzatetto", per poter trovare la loro dimensione.

Ripeto, chi nasce delinquente stupratore lo è a prescindere dalla condizione umana, dal luogo in cui vive, e le condizioni sono relative al fine della riconoscibilità interiore dei percorsi della legalità.
Sicuramente la condizione di indigenza, di povertà e di disperazione, può favorire comportamenti destrutturati che possono anche portare alla piccola delinquenza.

Ho seguito più da vicino il mondo dei senzatetto, sostenendo attivamente il percorso intrapreso dalla giornalista e scrittrice  Francesca Barra a valle della sua esperienza personale per l'inchiesta che la ha portata a vivere con loro un mese.

Ho visto personalmente la difficoltà delle Istituzioni ad attivare percorsi concreti di sostegno e reinserimento nella società, aspetti questi che spesso sono surrogati da Associazioni, Fondazioni e onlus di caratura ecclesiastica o para ecclesiastica, con enormi difficoltà di collegamento e relazione con le Istituzioni stesse.

E questo aspetto viene trattato abbondantemente dal Rapporto 2014 della Caritas Ecclesiastica Italiana sulla povertà ed esclusione, che fa un quadro ampissimo della gravità della situazione complessiva, e sottolinea proprio quanto l'accesso alle organizzazioni di sostentamento ecclesiastiche, sia sempre di più caratterizzato da persone che non sono indigenti, ma che fanno fatica a sopravvivere, a causa delle rate di mutuo, delle bollette e sempre di più si rivolgono a tali strutture per avere i beni primari come il pasto, alimenti e quant'altro. Ma dallo stesso rapporto, e questo è l'aspetto più grave che va sottolineato, e portato all'attenzione delle Istituzioni, è il crescente impatto che su questa classe di meno abbienti abbia la criminalità mafiosa attraverso il racket delle scommesse e delle sale da gioco, che sono da sempre le scappatoie e le chimere della pre-povertà, in quanto ipoteticamente foriere di guadagni "facili". Questi business sono fra le principali cause che portano delle povertà forse anche recuperabili, all'indigenza totale ed abbandono.

Guardiamo quindi sempre con meno qualunquismo, miopia, razzismo e emarginazione a questo mondo che esiste fra noi, fatto di senzatetto e immigrati, per riuscire in tal senso, non generalizzando, ad identificare da un lato i casi negativi, e trattarli come tali, e valorizzare i casi positivi, che sono tantissimi, e che vanno sostenuti ed integrati, in un Paese che, come ho detto nel titolo, saprà gestire la distintività dell'accoglienza attraverso i temi sociali di integrazione e povertà, senza ghettizzazione ed emarginazione, uscendo dal paradigma dell'indifferenza sociale. Questo passa anche attraverso noi, la nostra opera, la dedizione del nostro tempo e competenze alle cause sociali, l'attivazione di sensori recettivi per supportare le organizzazioni solidali  nell'indirizzamento dei casi particolari, e la nostra fattiva contribuzione sociale.



Milano, 11 luglio 2014