lunedì 29 dicembre 2014

Quando la verità, la resistenza e la rinascita non fanno più notizia

E' passato un anno.

Un anno di silenzio, dove tante voci di voci hanno smesso di raccontare le loro storie, dove il silenzio ha lasciato spazio alle scelte di palinsesto, ai tagli sconsiderati di budget, alle decisioni di chi, forse, non ritiene che la verità possa ancora fare notizia.

Perché di verità si parla, e si è parlato, per quattro anni, di storie di resistenza e di ingiustizie, 2.000 circa, storie di persone, di famiglie, di figli di vittime di mafia, di morte, di dolore, di speranza.

Speranza che proprio quella voce di voci poteva dare a chi, nella sua tragedia, nei soprusi subiti, nel futuro sottratto, in quella voce poteva ancora trovare la forza di credere in un futuro migliore, affinché la violenza, le atrocità e la meschinità del fenomeno mafioso potesse essere raccontata a tutti.

Ed invece, è calato il silenzio. Ciò che quando si parla di mafia, non deve mai accadere. Quel silenzio che cancella la memoria, il ricordo, e favorisce il prolificare del concetto mafioso, che proprio in quel silenzio, striscia virulento, se ne appropria, lo trasforma in baluardo di omertà, in testimonianza di inesistenza.

Nel silenzio, la mafia si rafforza.

E' passato un anno, da quando la RAI ha deciso di chiudere il programma "La Bellezza Contro le mafie" condotto da Francesca Barra, giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica e televisiva, nata a Policoro, paese della stupenda Lucania in Basilicata, per la regia di Enrico Magli.

Ispirato al concetto di bellezza espresso dalle parole di Peppino Impastato, giornalista e poeta siciliano nato a Cinisi nel '48, assassinato dalla mafia nel 1978, che recitavano

"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore",

il programma è stato per quattro anni l'unico punto di riferimento del Servizio Pubblico Radio RAI per una costante e tenace rappresentazione della geografia del fenomeno mafioso, con migliaia di interviste a figli di vittime della mafia, ai testimoni di giustizia, a giornalisti antimafia, ad autori impegnati nella costante lotta all'informazione antimafia, arduo compito che vede, spesso, quegli stessi autori ad essere costretti a vivere sotto scorta.

Ed è stato proprio attraverso il paradigma della bellezza, che Francesca Barra ha condotto il programma nel suo itinerare fra le storie di resistenza, che hanno davvero raccontato il fenomeno mafioso con meticolosità, operando un osservatorio fondamentale per la memoria, per quel saper ricordare le cose importanti della storia del paese, riuscendo a portare ai microfoni testimonianze di riscossa, preti di frontiera, giornalisti appassionati, scrittori lungimiranti, documenti sulla rinascita di quei territori devastati dalle mafie, resi irriconoscibili dalle storie aberranti che ivi sono state consumate, storie di morte, di criminalità, di grave disagio sociale, ed anche e soprattutto di latitanza Istituzionale. 

Un osservatorio prezioso, perché come dice la giornalista "allenare, esercitare la memoria è un dovere. Anche e soprattutto il giorno dopo..."

Attraverso la bellezza, sono state ripercorse le storie di luoghi, di vite di persone, di figli di camorristi che hanno detto "no" alle mafie, come a Rosarno, piccolo paesino della Calabria, simbolo della resistenza alla 'ndrangheta, dove figli di 'ndranghetisti, hanno scelto percorsi di legalità. Storie di testimoni di giustizia che hanno visto sacrificata la vita delle persone vicine come Denise Cosco,  figlia di Lea Garofalo, assassinata dall'ndrangheta. Storie di "mamme coraggio", come Mamma Olimpia Orioli, di femminicidio, di rinascita e riscossa, che si sono susseguite nei racconti man mano proposti da Francesca Barra, con grandissima professionalità, riuscendo sempre a dare a quelle storie il giusto spazio, a prendere la giusta distanza, affinché fossero sempre le storie a parlare, per quella straordinaria capacità della Barra di farle vivere e rendere vividi ricordi che le caratterizzano, proprio tenendo fede ai suoi principi, che sono scolpiti nelle parole pronunciate al premio "Paolo Borsellino 2012",
ricevuto proprio per l'impegno profuso nei temi della legalità, e dell'impegno sociale, per l'impegno profuso per quel programma, per quella sfida che voleva utilizzare un mezzo meno eclatante, meno invasivo come la radio, per arrivare dritta nel cuore delle notizie, e delle persone. Il premio, è stato assegnato con le motivazioni "Per l'impegno profuso nei temi della legalità e della trasparenza, per la sua trasmissione di alto impegno professionale e civile (La Bellezza contro le mafie n.d.r.), per aver dimostrato che è possibile un'informazione libera, critica e costruttiva...".  

Ed allora ci si chiede perché, da un lato l'impegno prodigo a tutela dei temi di resistenza di verità, venga premiato, e dall'altro, in un'Italia devastata dalla corruzione, criminalità organizzate che impantanano e gestiscono tutti i business a livello nazionale, di testimoni di giustizia a cui viene eliminata la scorta, di figli di vittime della mafia a cui non vengono riconosciuti diritti, di parenti di vittime degli uomini e donne della scorta, uno degli unici programmi a scopo sociale, di estrema utilità del Servizio Pubblico, possa essere stato chiuso.

E non sono bastati i sostegni di esponenti politici come Sonia Alfano, all'epoca Presidente della Commissione Antimafia nel Parlamento Europeo, la quale ha scritto una lettera aperta alla RAI, sottoscritta da tutti i rappresentanti delle associazioni antimafia, che recitava
“La bellezza contro le mafie”, nota trasmissione radiofonica di Radio 1 RAI, da gennaio non andrà più in onda. I tagli, dicono. Si “abbatte”, quindi, un programma serio, che costa pochissimo e che, in soli 4 anni, grazie allo straordinario lavoro di una giornalista sensibile e preparata come Francesca Barra, ha saputo raccontare 2000 storie. Storie di mafia, di vittime innocenti, di giustizia, di speranza, di riscatto.
Francesca, con la sua trasmissione, è stata per noi un punto di riferimento impareggiabile. Ha saputo fare informazione e, nel contempo, è stata in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema difficile e complesso. Senza “La bellezza contro le mafie” molte delle storie di uomini e donne uccisi per la propria onestà e il proprio coraggio sarebbero rimaste nell’ombra, tra le quattro mura delle nostre case.
Operare questo taglio significa perciò lacerare ancora una volta la memoria delle vittime innocenti e infrangere le speranze dei loro familiari, impegnati quotidianamente a difenderne la dignità e il vissuto.
Abbiamo appreso con grande rammarico di questa decisione ma siamo certi che la RAI farà un passo indietro, consentendo a Francesca Barra di andare avanti nel suo esercizio di verità e di diffusione della migliore cultura antimafia.
Siamo venuti a conoscenza anche del fatto che il programma non avesse una redazione. Francesca lavorava da sola. Ci auguriamo che l’azienda voglia cogliere al volo pure l’opportunità di far crescere “La bellezza contro le mafie”, incoraggiando l’inserimento di nuovi aspiranti giornalisti, che tanto hanno da dare ad una trasmissione utile e gradevole, al servizio pubblico e all’intero Paese."
Iniziativa alla quale se ne sono aggiunte tantissime altre a sostegno, fra cui anche una petizione lanciata da degli ascoltatori, ed indirizzata al Direttore  Radiouno RAI.

Ci si domanda quindi, nonostante la mobilitazione così ampia, e l'indubbia necessità della sua esistenza, perché  uno dei pochi programmi dedicati a questi argomenti così importanti invece di essere stato chiuso, non abbbia trovato - per contro - un maggiore spazio nei palinsesti, magari non solo radiofonici, ma anche televisivi.

La televisione sicuramente, rispetto alla radio, è un veicolo più immediato, "arriva" prima, ed ad una platea più ampia. Ed è proprio la conduttrice del programma, Francesca Barra in un suo articolo che riporto integralmente, pubblicato nel suo Blog, a far riferimento al fenomeno televisivo, alla necessità di parlare di mafia, esortando i giovani a reagire, a cambiare il corso della storia:

"...Causa tagli, è stato eliminato dai palinsesti a dicembre 2013 (il programma n.d.r.).
Proprio ora che anche la cronaca nazionale spalanca le sue pagine con efferati omicidi, minacce, territori avvelenati. E torna a preoccuparsene, con inchieste, documentari televisivi.
Perché la realtà non è quella che alcune fiction vi hanno mostrato.
I boss non sanno cosa sia l’onore. E le minacce che avete letto di Totò Riina, in questi giorni, fotografano la loro vera natura: disumana. “a di Matteo farei fare la fine del tonno…”

Il piccolo Nicola, in Calabria, tre anni, era stato affidato al nonno. E’ stato con lui ucciso e bruciato. Ma il suo destino era stato già segnato dalla nascita perché sua madre è in carcere perché appartenente ad una presunta organizzazione di traffico di droga. Come sia potuto accadere che un bambino non sia stato salvato e affidato altrove? E com’è possibile che ancora, qualche giornalista, scriva che i bimbi, la mafia, non li tocca?  E Simonetta lamberti? Domenico Gabriele, Giuseppe di Matteo Nadia e Caterina Nencioni, i gemellini Giuseppe e Salvatore Asta,  Claudio Domino? Potrei continuare, la lista è lunga. La memoria, di qualcuno, corta.
Come sia possibile che da anni parlavamo della terra dei fuochi e ve ne siete accorti solo dopo le immagini televisive?
Dove è andata a finire la vostra curiosità, la partecipazione che vi aveva risvegliato dopo Gomorra? Perché vi siete rassegnati? Non la cercate più la bellezza?
C’è una storia che voglio raccontarvi. Anni fa ho intervistato un testimone di giustizia, nome in codice: Ulisse.
Un funzionario statale, nato a Napoli, ad ottobre del 1990 assiste, insieme con la moglie, ad un omicidio. A seguito della loro testimonianza, il killer è stato arrestato e processato. Dopo l’addio alla sua vecchia vita, a parenti, amici, colleghi, lavoro, casa, Ulisse e sua moglie diventano testimoni di giustizia fino alla condanna all’ergastolo dell’assassino. Oggi vivono in una località segreta, senza più la tutela dal sistema centrale di protezione.
“Il 28 gennaio del 1994, pochi giorni prima dell’appello, ci portarono via- mi racconta Ulisse- Mi diedero una pistola mi fecero prendere rapidamente il porto d’armi. Nell’albergo dove pensavamo di restare qualche settimana, abbiamo vissuto quattro mesi con due figli piccoli: due anni e mezzo il primo, un anno festeggiato in quella stanza, il secondo. Prima di noi aveva ospitato dei pentiti. Così ci trattavano, senza conoscere la differenza. Il nostro interesse era esclusivamente dovuto a coscienza civile e all’educazione ricevuta.”
Il nome in codice che ha scelto è la metafora di colui che fa di tutto per ritornare nella sua Itaca. Ma lui, a differenza di Odisseo, non potrà mai tornare nella sua terra. Ad itaca no, non tornerà e se mai dovesse avvenire nulla sarebbe come prima.
Rita Atria, la giovane testimone di giustizia di Partanna, diceva che per combattere la mafia bisognava combattere la mafia dentro di noi. Quel codice sigillato in mentalità granitiche. L’imprenditore campano Domenico Noviello di Castelvolturno, denunciò il racket testimoniando e fece condannare dei criminali per poi essere ucciso il 16 maggio del 2008 per strada. L’imprenditore Raffaele Pastore la protezione non l’ha mai avuta pur avendo denunciando chi gli aveva chiesto il pizzo, perché l’uomo che aveva fatto condannare era stato definito “cane sciolto”. Ed è stato ucciso. Per non essersi piegato al ricatto, per aver denunciato, per non essere stato protetto. Pietro Nava: testimone dell’omicidio del giudice Rosario Livatino: “Quel giorno non e’ morto solo il giudice. Anche io sono morto quel giorno. Io non sono un coraggioso, sono un uomo normale, che ha fatto una cosa normale. E che rifarei domattina”.
Credo che sia un arricchimento raccontare. Così i pochi otterranno il merito di essere rari. Non invisibili.
Il giudice Giovanni Falcone diceva:” Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi, perché in ciò sta l’essenza della dignità umana.”
Cari giovani,
battetevi ancora. Vostra è la scelta, voi potrete cambiare il corso della storia. Si è svolto il premio Mario Francese a Palermo, nell’aula magna dell’istituto alberghiero Piazza. Hanno premiato anche Pif e il suo film: “la mafia uccide solo d’estate”. Se queste iniziative mancano nelle vostre città, nelle vostre scuole, recuperate memoria e spirito di iniziativa."

Ed è di fronte a queste parole, che ci si chiede come possa non essere forte negli uomini e donne che prendono le decisioni nei Consigli di Amministrazione, nei Direttivi, i direttori di palinsesto, nel mondo dell'informazione mediatica, la consapevolezza che un servizio pubblico di questo tenore sia indispensabile per la salvaguardia ed integrità del diritto alla verità, affinchè quei pochi - come dice la giornalista - almeno possano essere rari e non invisibili.

Ma cos'è il diritto alla verità. E' su questo che bisogna soffermarsi, ed interrogarsi. Perché se riusciamo a connotare questo diritto, possiamo capire il grave errore sia stato fatto nel chiudere questo capitolo di informazione, nel Servizio Pubblico. Il diritto alla verità è la forza universale che muove le coscienze nella ricerca costante di giustizia e legalità, Ed è per questo che diritto alla verità e Servizio Pubblico sono strettamente interconnessi. E' compito del Servizio Pubblico garantire un'informazione ispirata al diritto alla verità, che possa dare voce a chi non ha i mezzi e le possibilità per farla sentire, nei capitoli più tristi della nostra società.

Ed è per questo diritto, che bisogna lottare affinché programmi di informazione Pubblica di questa caratura, non vengano eliminati per sempre dai palinsesti. Perché questo diritto non venga precluso, per le generazioni a venire. Per quei giovani a cui si rivolge la giornalista, che sempre di più hanno bisogno di essere supportati nella conoscenza dei capitoli più oscuri della nostra storia affinché ne siano coscienti, informati e possano formare le loro coscienze nella ricerca della legalità attraverso la consapevolezza che esistono le mafie, ma esistono storie che raccontano di come alle mafie si è detto no, esiste la forza e la speranza di organizzazioni sul territorio che lottano quotidianamente per sconfiggere il senso di omertà, che ancora, e tanto, esiste in tante aree del nostro Paese.

Servizio Pubblico è anche e soprattutto questo, oltre ovviamente a programmi di intrattenimento ed approfondimento culturale.

L'eliminazione dai palinsesti di programmi come La Bellezza Contro Le mafie, precludono anche le possibilità che la passione di giornalisti come Francesca Barra - "una penna appassionata" come la hanno descritta nel premio Borsellino - 
possa trovare nei giovani esempio per poter proseguire il percorso, dare ispirazione a chi sente il desiderio di confrontarsi con esperienze dell'informazione radiofonica tematica, su aspetti ed argomenti di altissimo valore sociale ed istituzionale, quel "fare scuola" nella radio-televisione Pubblica che tanto sta mancando oggi, soprattutto nelle trasmissioni a tema. E la "resilienza", temine che oggi va di moda, cioè la robustezza che supera qualsiasi cambiamento, quella sostenibilità nel tempo dell'offerta pubblica, necessariamente deve passare anche e soprattutto attraverso questi valori, la passione, la professionalità, il coraggio, punti di riferimento ed esempi che sempre di più fanno fatica ad emergere nel mare magnum della superficialità mediatica che compone, purtroppo, anche i palinsesti della televisione pubblica.  
Superficialità spesso dettata da leggi di mercato, da palinsesti che sono in concorrenza sempre di più con le reti private, alla ricerca di fette di pubblico, a vantaggio a volte di contenuti meno curati, di temi più facili, meno rischiosi sotto il profilo dell'Audience. Ed è qui che forse applicare tagli sui programmi minori che costano meno  per eventuali riposizionamenti di budget, è controproducente e va inevitabilmente a mortificare quel diritto alla verità del Servizio Pubblico, almeno per una parte di palinsesto. La RAI, su certi programmi  dovrebbe prescindere da queste logiche, e restare su quella componente di "servizio", necessaria ed indispensabile per la crescita informativa e culturale del Paese e delle nuove generazioni, a tutela e garanzia di informazione sociale, equa e trasparente.

Questo è un'approfondimento dedicato al senso del dovere istituzionale, alla passione di informare, alla dedizione, al coraggio delle parole che spesso passa inosservato, alla lungimiranaza di far vivere e rivivere le parole di coloro che hanno scolpito il nostro futuro con il sacrificio del passato, spesso pagando con la loro stessa vita, consapevoli che ricordare è un nostro dovere, ma non dimenticare è una responsaiblità, e che tutte le voci che riescono a non far dimenticare, sono voci che non possono, e non devono mai essere taciute.

Allora ci si appella alla lungimiranza degli uomini e donne che alla fine operano e si muovono secondo i principi e valori universali, affinché queste parole possano scuotere le coscienze, aprire le menti ed i cuori per una riflessione complessiva su tutto il palinsesto della RAI, per iniziare davvero un cambiamento che trovi spazi per approfondimenti, servizi, racconti, documentari, trasmissioni, siano esse televisive che radiofoniche che, costantemente,  possano parlare di mafia, possano parlare di bellezza legata alla rinascita e riscossa dei territori, facciano da portavoce a quelle innumerevoli voci flebili ed inascoltate che sono la testimonianza di queste sofferenze che così si possono tramutare in riscosse, ma che soprattutto, possano rubare il silenzio alle mafie, togliere loro qualsiasi spazio, perché solo eliminando i silenzi, si può eliminare la paura.

Milano, 29 dicembre 2014

Roberto Furesi

lunedì 8 dicembre 2014

Recensione de "L'amore ci salva" di Barbara Benedettelli

Amore integrale.

Mi ha colpito subito questa parola, e questo percorso profondo che l'autrice ci offre con il suo libro.

Un percorso che ti attraversa con un linguaggio ancestrale, quello più semplice, ma che da sempre muove i motori della nostra esistenza: il linguaggio dell'amore.

Un cammino che arriva al profondo del cuore, scombussolandolo un po', facendolo riflettere e restituendogli bellezza.

Un libro che ti mette di fronte a domande, tante, che non ti eri mai fatto, ti fa osservare il "particolare", attraverso il quale si osservano le cose del mondo che spesso vengono trascurate, date per scontate, ed invece scontate non sono.

Amore come filo conduttore di una esistenza volta al bene, e non al male, filo conduttore di decisioni dell'essere umano che guarda al prossimo cercando di comprenderlo e di mettersi nei suoi panni, amore per la vita e per il rispetto della vita, come dice un passo importante del libro "L'amore autentico può trasformare il disumano in umano, l'amorale in morale, l'ingiustizia in giustizia".

Ecco i punti cardine del percorso di Barbara Benedettelli, la ricerca della giustizia giusta, dell'equità
nelle leggi, l'eliminazione delle ingiustizie derivanti dalle leggi inique, l'affermazione del "diritto al diritto", l'eliminazione della superficialità, dell'indifferenza, del sopruso, di quella "squilibrizia"  come la chiama l'autrice, derivante dai comportamenti non umani, non improntati alla ricerca dell'amore nell'essere umano, nella vita, che portano l'individuo che li subisce, a sentirsi spaesato, indifeso, ed a volte morto, dentro.

E la descrizione di questo percorso, l'autrice ce la propone attraverso racconti meravigliosi di persone che, proprio per mezzo dell'amore integrale per la vita, hanno superato momenti devastanti della loro esistenza, hanno trovato solidarietà e giustizia, sono riuscite a rinascere e risorgere attraverso iniziative importanti di testimonianza di amore e solidarietà. Racconti in cui non entrerò nel dettaglio, ma che lascerò a voi percorrere nella loro profondità, bellezza e emozione.

Come ha detto Gian Luigi Nuzzi , giornalista e scrittore ad una presentazione, questo libro "è una carezza ed uno schiaffo", perché da un lato ti coccola, ti fa sentire bene attraverso questo messaggio di amore, e dall'altro ti devasta nella consapevolezza di quanto disamore ci sia attorno a noi.

Disamore nelle persone che non rispettando le leggi e le regole, uccidono delle altre persone mentre guidano a velocità sostenuta, od in stato di ebrezza. Assassinii questi che la legge non equipara ad altri assassinii, per i quali le pene sono più severe.

Familiari delle vittime della strada che si ritrovano ad aver perso propri cari, senza spesso trovare adeguata giustizia per coloro che sono stati gli autori di quegli omicidi. Pe
rché anche se al volante, sempre di omicidi trattasi. Disabili che vedono calpestati i loro diritti, dimenticati, abbandonati da strutture o Istituzioni che non si prendono cura delle loro malattie. E qui anche le ingiustizie derivanti da errori processuali, condanne o provvedimenti di custodia cautelare o carceraria comminati ad innocenti che vedono lese comunque le loro libertà, dignità e loro famiglie.


E qui il messaggio fortissimo di Barbara Benedettelli, quello del potere che ha l'amore integrale, il potere di salvare, di rendere "umane" le valutazioni di ognuno di noi nell'esercizio della sua professione, sia un magistrato, avvocato, Responsabile delle Istituzioni, o semplice cittadino.

Un messaggio di cambiamento, per ripristinare equilibri ed equità nel contesto sociale, e poter restituire speranza di un mondo più giusto, dove si possa di nuovo guardare al futuro con lungimiranza, e fiducia.

Ed ho trovato anche molto interessante e importante il rapporto Amore-Fede-Non Fede affrontato nel libro, perché pone al centro del dibattito "la vita" e la sua importanza, e non "l'individuo" con le sue debolezze, consentendo la coesistenza assoluta di credenti e non credenti nell'obiettivo di amore, nella ricerca di bellezza e di umanità, indipendentemente dal credo. E questo è bellissimo, ed ha una forza incredibile per l'essere umano, per la coesione di intenti, e di esistenze.

E se l'autrice come ha detto in una presentazione si sente "naif" oggi col suo messaggio di Amore, io la trovo invece contemporanea e centrata, per questo messaggio totalmente rivoluzionario nella sua normalità.


Un libro che consiglio a tutti.

Roberto Furesi






Qui il link al Booktrailer