lunedì 29 dicembre 2014

Quando la verità, la resistenza e la rinascita non fanno più notizia

E' passato un anno.

Un anno di silenzio, dove tante voci di voci hanno smesso di raccontare le loro storie, dove il silenzio ha lasciato spazio alle scelte di palinsesto, ai tagli sconsiderati di budget, alle decisioni di chi, forse, non ritiene che la verità possa ancora fare notizia.

Perché di verità si parla, e si è parlato, per quattro anni, di storie di resistenza e di ingiustizie, 2.000 circa, storie di persone, di famiglie, di figli di vittime di mafia, di morte, di dolore, di speranza.

Speranza che proprio quella voce di voci poteva dare a chi, nella sua tragedia, nei soprusi subiti, nel futuro sottratto, in quella voce poteva ancora trovare la forza di credere in un futuro migliore, affinché la violenza, le atrocità e la meschinità del fenomeno mafioso potesse essere raccontata a tutti.

Ed invece, è calato il silenzio. Ciò che quando si parla di mafia, non deve mai accadere. Quel silenzio che cancella la memoria, il ricordo, e favorisce il prolificare del concetto mafioso, che proprio in quel silenzio, striscia virulento, se ne appropria, lo trasforma in baluardo di omertà, in testimonianza di inesistenza.

Nel silenzio, la mafia si rafforza.

E' passato un anno, da quando la RAI ha deciso di chiudere il programma "La Bellezza Contro le mafie" condotto da Francesca Barra, giornalista, scrittrice e conduttrice radiofonica e televisiva, nata a Policoro, paese della stupenda Lucania in Basilicata, per la regia di Enrico Magli.

Ispirato al concetto di bellezza espresso dalle parole di Peppino Impastato, giornalista e poeta siciliano nato a Cinisi nel '48, assassinato dalla mafia nel 1978, che recitavano

"Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore",

il programma è stato per quattro anni l'unico punto di riferimento del Servizio Pubblico Radio RAI per una costante e tenace rappresentazione della geografia del fenomeno mafioso, con migliaia di interviste a figli di vittime della mafia, ai testimoni di giustizia, a giornalisti antimafia, ad autori impegnati nella costante lotta all'informazione antimafia, arduo compito che vede, spesso, quegli stessi autori ad essere costretti a vivere sotto scorta.

Ed è stato proprio attraverso il paradigma della bellezza, che Francesca Barra ha condotto il programma nel suo itinerare fra le storie di resistenza, che hanno davvero raccontato il fenomeno mafioso con meticolosità, operando un osservatorio fondamentale per la memoria, per quel saper ricordare le cose importanti della storia del paese, riuscendo a portare ai microfoni testimonianze di riscossa, preti di frontiera, giornalisti appassionati, scrittori lungimiranti, documenti sulla rinascita di quei territori devastati dalle mafie, resi irriconoscibili dalle storie aberranti che ivi sono state consumate, storie di morte, di criminalità, di grave disagio sociale, ed anche e soprattutto di latitanza Istituzionale. 

Un osservatorio prezioso, perché come dice la giornalista "allenare, esercitare la memoria è un dovere. Anche e soprattutto il giorno dopo..."

Attraverso la bellezza, sono state ripercorse le storie di luoghi, di vite di persone, di figli di camorristi che hanno detto "no" alle mafie, come a Rosarno, piccolo paesino della Calabria, simbolo della resistenza alla 'ndrangheta, dove figli di 'ndranghetisti, hanno scelto percorsi di legalità. Storie di testimoni di giustizia che hanno visto sacrificata la vita delle persone vicine come Denise Cosco,  figlia di Lea Garofalo, assassinata dall'ndrangheta. Storie di "mamme coraggio", come Mamma Olimpia Orioli, di femminicidio, di rinascita e riscossa, che si sono susseguite nei racconti man mano proposti da Francesca Barra, con grandissima professionalità, riuscendo sempre a dare a quelle storie il giusto spazio, a prendere la giusta distanza, affinché fossero sempre le storie a parlare, per quella straordinaria capacità della Barra di farle vivere e rendere vividi ricordi che le caratterizzano, proprio tenendo fede ai suoi principi, che sono scolpiti nelle parole pronunciate al premio "Paolo Borsellino 2012",
ricevuto proprio per l'impegno profuso nei temi della legalità, e dell'impegno sociale, per l'impegno profuso per quel programma, per quella sfida che voleva utilizzare un mezzo meno eclatante, meno invasivo come la radio, per arrivare dritta nel cuore delle notizie, e delle persone. Il premio, è stato assegnato con le motivazioni "Per l'impegno profuso nei temi della legalità e della trasparenza, per la sua trasmissione di alto impegno professionale e civile (La Bellezza contro le mafie n.d.r.), per aver dimostrato che è possibile un'informazione libera, critica e costruttiva...".  

Ed allora ci si chiede perché, da un lato l'impegno prodigo a tutela dei temi di resistenza di verità, venga premiato, e dall'altro, in un'Italia devastata dalla corruzione, criminalità organizzate che impantanano e gestiscono tutti i business a livello nazionale, di testimoni di giustizia a cui viene eliminata la scorta, di figli di vittime della mafia a cui non vengono riconosciuti diritti, di parenti di vittime degli uomini e donne della scorta, uno degli unici programmi a scopo sociale, di estrema utilità del Servizio Pubblico, possa essere stato chiuso.

E non sono bastati i sostegni di esponenti politici come Sonia Alfano, all'epoca Presidente della Commissione Antimafia nel Parlamento Europeo, la quale ha scritto una lettera aperta alla RAI, sottoscritta da tutti i rappresentanti delle associazioni antimafia, che recitava
“La bellezza contro le mafie”, nota trasmissione radiofonica di Radio 1 RAI, da gennaio non andrà più in onda. I tagli, dicono. Si “abbatte”, quindi, un programma serio, che costa pochissimo e che, in soli 4 anni, grazie allo straordinario lavoro di una giornalista sensibile e preparata come Francesca Barra, ha saputo raccontare 2000 storie. Storie di mafia, di vittime innocenti, di giustizia, di speranza, di riscatto.
Francesca, con la sua trasmissione, è stata per noi un punto di riferimento impareggiabile. Ha saputo fare informazione e, nel contempo, è stata in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema difficile e complesso. Senza “La bellezza contro le mafie” molte delle storie di uomini e donne uccisi per la propria onestà e il proprio coraggio sarebbero rimaste nell’ombra, tra le quattro mura delle nostre case.
Operare questo taglio significa perciò lacerare ancora una volta la memoria delle vittime innocenti e infrangere le speranze dei loro familiari, impegnati quotidianamente a difenderne la dignità e il vissuto.
Abbiamo appreso con grande rammarico di questa decisione ma siamo certi che la RAI farà un passo indietro, consentendo a Francesca Barra di andare avanti nel suo esercizio di verità e di diffusione della migliore cultura antimafia.
Siamo venuti a conoscenza anche del fatto che il programma non avesse una redazione. Francesca lavorava da sola. Ci auguriamo che l’azienda voglia cogliere al volo pure l’opportunità di far crescere “La bellezza contro le mafie”, incoraggiando l’inserimento di nuovi aspiranti giornalisti, che tanto hanno da dare ad una trasmissione utile e gradevole, al servizio pubblico e all’intero Paese."
Iniziativa alla quale se ne sono aggiunte tantissime altre a sostegno, fra cui anche una petizione lanciata da degli ascoltatori, ed indirizzata al Direttore  Radiouno RAI.

Ci si domanda quindi, nonostante la mobilitazione così ampia, e l'indubbia necessità della sua esistenza, perché  uno dei pochi programmi dedicati a questi argomenti così importanti invece di essere stato chiuso, non abbbia trovato - per contro - un maggiore spazio nei palinsesti, magari non solo radiofonici, ma anche televisivi.

La televisione sicuramente, rispetto alla radio, è un veicolo più immediato, "arriva" prima, ed ad una platea più ampia. Ed è proprio la conduttrice del programma, Francesca Barra in un suo articolo che riporto integralmente, pubblicato nel suo Blog, a far riferimento al fenomeno televisivo, alla necessità di parlare di mafia, esortando i giovani a reagire, a cambiare il corso della storia:

"...Causa tagli, è stato eliminato dai palinsesti a dicembre 2013 (il programma n.d.r.).
Proprio ora che anche la cronaca nazionale spalanca le sue pagine con efferati omicidi, minacce, territori avvelenati. E torna a preoccuparsene, con inchieste, documentari televisivi.
Perché la realtà non è quella che alcune fiction vi hanno mostrato.
I boss non sanno cosa sia l’onore. E le minacce che avete letto di Totò Riina, in questi giorni, fotografano la loro vera natura: disumana. “a di Matteo farei fare la fine del tonno…”

Il piccolo Nicola, in Calabria, tre anni, era stato affidato al nonno. E’ stato con lui ucciso e bruciato. Ma il suo destino era stato già segnato dalla nascita perché sua madre è in carcere perché appartenente ad una presunta organizzazione di traffico di droga. Come sia potuto accadere che un bambino non sia stato salvato e affidato altrove? E com’è possibile che ancora, qualche giornalista, scriva che i bimbi, la mafia, non li tocca?  E Simonetta lamberti? Domenico Gabriele, Giuseppe di Matteo Nadia e Caterina Nencioni, i gemellini Giuseppe e Salvatore Asta,  Claudio Domino? Potrei continuare, la lista è lunga. La memoria, di qualcuno, corta.
Come sia possibile che da anni parlavamo della terra dei fuochi e ve ne siete accorti solo dopo le immagini televisive?
Dove è andata a finire la vostra curiosità, la partecipazione che vi aveva risvegliato dopo Gomorra? Perché vi siete rassegnati? Non la cercate più la bellezza?
C’è una storia che voglio raccontarvi. Anni fa ho intervistato un testimone di giustizia, nome in codice: Ulisse.
Un funzionario statale, nato a Napoli, ad ottobre del 1990 assiste, insieme con la moglie, ad un omicidio. A seguito della loro testimonianza, il killer è stato arrestato e processato. Dopo l’addio alla sua vecchia vita, a parenti, amici, colleghi, lavoro, casa, Ulisse e sua moglie diventano testimoni di giustizia fino alla condanna all’ergastolo dell’assassino. Oggi vivono in una località segreta, senza più la tutela dal sistema centrale di protezione.
“Il 28 gennaio del 1994, pochi giorni prima dell’appello, ci portarono via- mi racconta Ulisse- Mi diedero una pistola mi fecero prendere rapidamente il porto d’armi. Nell’albergo dove pensavamo di restare qualche settimana, abbiamo vissuto quattro mesi con due figli piccoli: due anni e mezzo il primo, un anno festeggiato in quella stanza, il secondo. Prima di noi aveva ospitato dei pentiti. Così ci trattavano, senza conoscere la differenza. Il nostro interesse era esclusivamente dovuto a coscienza civile e all’educazione ricevuta.”
Il nome in codice che ha scelto è la metafora di colui che fa di tutto per ritornare nella sua Itaca. Ma lui, a differenza di Odisseo, non potrà mai tornare nella sua terra. Ad itaca no, non tornerà e se mai dovesse avvenire nulla sarebbe come prima.
Rita Atria, la giovane testimone di giustizia di Partanna, diceva che per combattere la mafia bisognava combattere la mafia dentro di noi. Quel codice sigillato in mentalità granitiche. L’imprenditore campano Domenico Noviello di Castelvolturno, denunciò il racket testimoniando e fece condannare dei criminali per poi essere ucciso il 16 maggio del 2008 per strada. L’imprenditore Raffaele Pastore la protezione non l’ha mai avuta pur avendo denunciando chi gli aveva chiesto il pizzo, perché l’uomo che aveva fatto condannare era stato definito “cane sciolto”. Ed è stato ucciso. Per non essersi piegato al ricatto, per aver denunciato, per non essere stato protetto. Pietro Nava: testimone dell’omicidio del giudice Rosario Livatino: “Quel giorno non e’ morto solo il giudice. Anche io sono morto quel giorno. Io non sono un coraggioso, sono un uomo normale, che ha fatto una cosa normale. E che rifarei domattina”.
Credo che sia un arricchimento raccontare. Così i pochi otterranno il merito di essere rari. Non invisibili.
Il giudice Giovanni Falcone diceva:” Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, costi quel che costi, perché in ciò sta l’essenza della dignità umana.”
Cari giovani,
battetevi ancora. Vostra è la scelta, voi potrete cambiare il corso della storia. Si è svolto il premio Mario Francese a Palermo, nell’aula magna dell’istituto alberghiero Piazza. Hanno premiato anche Pif e il suo film: “la mafia uccide solo d’estate”. Se queste iniziative mancano nelle vostre città, nelle vostre scuole, recuperate memoria e spirito di iniziativa."

Ed è di fronte a queste parole, che ci si chiede come possa non essere forte negli uomini e donne che prendono le decisioni nei Consigli di Amministrazione, nei Direttivi, i direttori di palinsesto, nel mondo dell'informazione mediatica, la consapevolezza che un servizio pubblico di questo tenore sia indispensabile per la salvaguardia ed integrità del diritto alla verità, affinchè quei pochi - come dice la giornalista - almeno possano essere rari e non invisibili.

Ma cos'è il diritto alla verità. E' su questo che bisogna soffermarsi, ed interrogarsi. Perché se riusciamo a connotare questo diritto, possiamo capire il grave errore sia stato fatto nel chiudere questo capitolo di informazione, nel Servizio Pubblico. Il diritto alla verità è la forza universale che muove le coscienze nella ricerca costante di giustizia e legalità, Ed è per questo che diritto alla verità e Servizio Pubblico sono strettamente interconnessi. E' compito del Servizio Pubblico garantire un'informazione ispirata al diritto alla verità, che possa dare voce a chi non ha i mezzi e le possibilità per farla sentire, nei capitoli più tristi della nostra società.

Ed è per questo diritto, che bisogna lottare affinché programmi di informazione Pubblica di questa caratura, non vengano eliminati per sempre dai palinsesti. Perché questo diritto non venga precluso, per le generazioni a venire. Per quei giovani a cui si rivolge la giornalista, che sempre di più hanno bisogno di essere supportati nella conoscenza dei capitoli più oscuri della nostra storia affinché ne siano coscienti, informati e possano formare le loro coscienze nella ricerca della legalità attraverso la consapevolezza che esistono le mafie, ma esistono storie che raccontano di come alle mafie si è detto no, esiste la forza e la speranza di organizzazioni sul territorio che lottano quotidianamente per sconfiggere il senso di omertà, che ancora, e tanto, esiste in tante aree del nostro Paese.

Servizio Pubblico è anche e soprattutto questo, oltre ovviamente a programmi di intrattenimento ed approfondimento culturale.

L'eliminazione dai palinsesti di programmi come La Bellezza Contro Le mafie, precludono anche le possibilità che la passione di giornalisti come Francesca Barra - "una penna appassionata" come la hanno descritta nel premio Borsellino - 
possa trovare nei giovani esempio per poter proseguire il percorso, dare ispirazione a chi sente il desiderio di confrontarsi con esperienze dell'informazione radiofonica tematica, su aspetti ed argomenti di altissimo valore sociale ed istituzionale, quel "fare scuola" nella radio-televisione Pubblica che tanto sta mancando oggi, soprattutto nelle trasmissioni a tema. E la "resilienza", temine che oggi va di moda, cioè la robustezza che supera qualsiasi cambiamento, quella sostenibilità nel tempo dell'offerta pubblica, necessariamente deve passare anche e soprattutto attraverso questi valori, la passione, la professionalità, il coraggio, punti di riferimento ed esempi che sempre di più fanno fatica ad emergere nel mare magnum della superficialità mediatica che compone, purtroppo, anche i palinsesti della televisione pubblica.  
Superficialità spesso dettata da leggi di mercato, da palinsesti che sono in concorrenza sempre di più con le reti private, alla ricerca di fette di pubblico, a vantaggio a volte di contenuti meno curati, di temi più facili, meno rischiosi sotto il profilo dell'Audience. Ed è qui che forse applicare tagli sui programmi minori che costano meno  per eventuali riposizionamenti di budget, è controproducente e va inevitabilmente a mortificare quel diritto alla verità del Servizio Pubblico, almeno per una parte di palinsesto. La RAI, su certi programmi  dovrebbe prescindere da queste logiche, e restare su quella componente di "servizio", necessaria ed indispensabile per la crescita informativa e culturale del Paese e delle nuove generazioni, a tutela e garanzia di informazione sociale, equa e trasparente.

Questo è un'approfondimento dedicato al senso del dovere istituzionale, alla passione di informare, alla dedizione, al coraggio delle parole che spesso passa inosservato, alla lungimiranaza di far vivere e rivivere le parole di coloro che hanno scolpito il nostro futuro con il sacrificio del passato, spesso pagando con la loro stessa vita, consapevoli che ricordare è un nostro dovere, ma non dimenticare è una responsaiblità, e che tutte le voci che riescono a non far dimenticare, sono voci che non possono, e non devono mai essere taciute.

Allora ci si appella alla lungimiranza degli uomini e donne che alla fine operano e si muovono secondo i principi e valori universali, affinché queste parole possano scuotere le coscienze, aprire le menti ed i cuori per una riflessione complessiva su tutto il palinsesto della RAI, per iniziare davvero un cambiamento che trovi spazi per approfondimenti, servizi, racconti, documentari, trasmissioni, siano esse televisive che radiofoniche che, costantemente,  possano parlare di mafia, possano parlare di bellezza legata alla rinascita e riscossa dei territori, facciano da portavoce a quelle innumerevoli voci flebili ed inascoltate che sono la testimonianza di queste sofferenze che così si possono tramutare in riscosse, ma che soprattutto, possano rubare il silenzio alle mafie, togliere loro qualsiasi spazio, perché solo eliminando i silenzi, si può eliminare la paura.

Milano, 29 dicembre 2014

Roberto Furesi

lunedì 8 dicembre 2014

Recensione de "L'amore ci salva" di Barbara Benedettelli

Amore integrale.

Mi ha colpito subito questa parola, e questo percorso profondo che l'autrice ci offre con il suo libro.

Un percorso che ti attraversa con un linguaggio ancestrale, quello più semplice, ma che da sempre muove i motori della nostra esistenza: il linguaggio dell'amore.

Un cammino che arriva al profondo del cuore, scombussolandolo un po', facendolo riflettere e restituendogli bellezza.

Un libro che ti mette di fronte a domande, tante, che non ti eri mai fatto, ti fa osservare il "particolare", attraverso il quale si osservano le cose del mondo che spesso vengono trascurate, date per scontate, ed invece scontate non sono.

Amore come filo conduttore di una esistenza volta al bene, e non al male, filo conduttore di decisioni dell'essere umano che guarda al prossimo cercando di comprenderlo e di mettersi nei suoi panni, amore per la vita e per il rispetto della vita, come dice un passo importante del libro "L'amore autentico può trasformare il disumano in umano, l'amorale in morale, l'ingiustizia in giustizia".

Ecco i punti cardine del percorso di Barbara Benedettelli, la ricerca della giustizia giusta, dell'equità
nelle leggi, l'eliminazione delle ingiustizie derivanti dalle leggi inique, l'affermazione del "diritto al diritto", l'eliminazione della superficialità, dell'indifferenza, del sopruso, di quella "squilibrizia"  come la chiama l'autrice, derivante dai comportamenti non umani, non improntati alla ricerca dell'amore nell'essere umano, nella vita, che portano l'individuo che li subisce, a sentirsi spaesato, indifeso, ed a volte morto, dentro.

E la descrizione di questo percorso, l'autrice ce la propone attraverso racconti meravigliosi di persone che, proprio per mezzo dell'amore integrale per la vita, hanno superato momenti devastanti della loro esistenza, hanno trovato solidarietà e giustizia, sono riuscite a rinascere e risorgere attraverso iniziative importanti di testimonianza di amore e solidarietà. Racconti in cui non entrerò nel dettaglio, ma che lascerò a voi percorrere nella loro profondità, bellezza e emozione.

Come ha detto Gian Luigi Nuzzi , giornalista e scrittore ad una presentazione, questo libro "è una carezza ed uno schiaffo", perché da un lato ti coccola, ti fa sentire bene attraverso questo messaggio di amore, e dall'altro ti devasta nella consapevolezza di quanto disamore ci sia attorno a noi.

Disamore nelle persone che non rispettando le leggi e le regole, uccidono delle altre persone mentre guidano a velocità sostenuta, od in stato di ebrezza. Assassinii questi che la legge non equipara ad altri assassinii, per i quali le pene sono più severe.

Familiari delle vittime della strada che si ritrovano ad aver perso propri cari, senza spesso trovare adeguata giustizia per coloro che sono stati gli autori di quegli omicidi. Pe
rché anche se al volante, sempre di omicidi trattasi. Disabili che vedono calpestati i loro diritti, dimenticati, abbandonati da strutture o Istituzioni che non si prendono cura delle loro malattie. E qui anche le ingiustizie derivanti da errori processuali, condanne o provvedimenti di custodia cautelare o carceraria comminati ad innocenti che vedono lese comunque le loro libertà, dignità e loro famiglie.


E qui il messaggio fortissimo di Barbara Benedettelli, quello del potere che ha l'amore integrale, il potere di salvare, di rendere "umane" le valutazioni di ognuno di noi nell'esercizio della sua professione, sia un magistrato, avvocato, Responsabile delle Istituzioni, o semplice cittadino.

Un messaggio di cambiamento, per ripristinare equilibri ed equità nel contesto sociale, e poter restituire speranza di un mondo più giusto, dove si possa di nuovo guardare al futuro con lungimiranza, e fiducia.

Ed ho trovato anche molto interessante e importante il rapporto Amore-Fede-Non Fede affrontato nel libro, perché pone al centro del dibattito "la vita" e la sua importanza, e non "l'individuo" con le sue debolezze, consentendo la coesistenza assoluta di credenti e non credenti nell'obiettivo di amore, nella ricerca di bellezza e di umanità, indipendentemente dal credo. E questo è bellissimo, ed ha una forza incredibile per l'essere umano, per la coesione di intenti, e di esistenze.

E se l'autrice come ha detto in una presentazione si sente "naif" oggi col suo messaggio di Amore, io la trovo invece contemporanea e centrata, per questo messaggio totalmente rivoluzionario nella sua normalità.


Un libro che consiglio a tutti.

Roberto Furesi






Qui il link al Booktrailer








sabato 22 novembre 2014

Oggi ho incontrato Luca, e voglio farlo conoscere anche a voi

Oggi ho incontrato Luca, e voglio farlo conoscere anche a voi, perché oggi ho avuto la prova tangibile che l'amore di una madre, la grandezza del suo essere, possono far vivere un figlio che se ne è andato prematuramente, per l'eternità
È stato emozionante essere oggi alla presentazione del libro "Il mio nome è Luca Orioli", raccolta di poesie scritte da un ragazzo che è stato portato via alla vita troppo presto, senza aver mai potuto trovare la verità sulla sua scomparsa
Nella cornice meravigliosa dell'Università cattolica, oggi Luca ha vissuto con noi, e ci ha regalato un momento bellissimo, attraverso le parole di Olimpia Orioli, una mamma, coraggiosa e dolce, determinata ed eccezionale, quelle di Francesca Barra, di Barbara Benedettelli, e delle persone che sono intervenute, fra cui diversi amici che Luca lo hanno vissuto e ci hanno trasmesso la sua bellezza.
Voglio riportarvi alcuni passi più significativi degli interventi iniziando dalle parole di Francesca, che sostiene Olimpia da tanti anni nella sua ricerca della verità, attraverso diverse iniziative, fra cui il suo programma in radio "La Bellezza Contro le Mafie", articoli nei giornali e trasmissioni televisive nelle quali sono state raccontate le ingiustizie subite da Olimpia nel suo cammino, fatto di sofferenza, di solitudine, di emarginazione, ma anche di bellezza, coraggio e ispirazione.

Francesca
"Il peso maggiore lo porta sempre chi resta, ed Olimpia è stata una mamma ostinata, coraggiosa...
Avevo assistito al funerale di Luca da piccola, e ricordo che rimasi sempre convinta che dietro quel funerale, si nascondevano verità non trovate, o non volute trovare. L'ho contattata e le ho detto "io non ti ho mai dimenticata"
Abbiamo pensato che intervenire dall'alto non sarebbe servito a niente, e che la strada giusta sarebbe stata quella di scuotere le coscienze, e così abbiamo portato avanti nei programmi qesta storia
Io non so chi è Luca ma so chi è Olimpia, è una sopravvissuta.Perché a certi dolori non si sopravvive.
Luca deve essere ricordato col sorriso, ma poi bisogna continuare la battaglia con Olimpia"

Le parole di Barbara Benedettelli, delicatamente stupende, ci hanno aiutato a interpretare, vivendole, le poesie di Luca.
"Tu Olimpia hai 2 compiti da portare sempre avanti, il primo è per te e per noi, il compito della giustizia e la ricerca della verità, ed il secondo è per Luca e per l'umanità, perché con questa meravigliosa raccolta, avete reso Luca, immortale.
Le Poesie di Luca non sono solo poesie, ma voce della vita
Luca attraverso le parole ci ha fatto vedere il cielo, ci ha esortato a guardare col cuore per vedere la verità vera, senza condizioni o veli
Luca nell'altro vedeva se stesso oltre allo scrutatore, e lui era già molto avanti rispetto a questo concetto che nei nostri giorni è così attuale.
L'altro siamo noi ma non ci rendiamo conto presi dalla consuetudine della vita quotidiana, e quando dice che siamo in un epoca in cui non siamo capaci di guardare il cielo col cuore, di non guardare gli altri negli occhi, di non tendergli la mano perché abbiamo paura, dobbiamo pensare che lo diceva nel suo tempo, lontano dal nostro, ed era già avanti
Luca nelle sue poesie ci esorta a cambiare la realtà"
E poi le parole di Mamma Olimpia che vi trascrivo direttamente, ma devo partire dalla poesia "madre", trascrivendovela per farvi capire
Madre

Incredibilmente
Paterna ragione
D'eterna speranza
D'eterna dolcezza
D'eterno
Tu scaturigine
Vittima di me
Parte di me d'un unico segno
Madre
Che mai morrai ai miei occhi di bimbo
Mai altro più di te potrà avermi
Il tuo tanto sognare
Non merita la realtà che io sono
Il tuo tanto dolore
Ti è ragione di vanto
Inestimabile e irripetibile dono di Dio
Segno d'incommensurabile amore

"Nella poesia "madre", ci sono dei riferimenti che ho dovuto spiegare a me stessa, per capire e sedare il mio dolore
Vivere l'attimo, è vivere l'eternità
Quando ho visto il corpo di Luca ho detto qui comincia la mia eternità
Il dolore di una mamma non può finire mai
Il diritto all'oblio uccide una madre
Nella poesia madre c'è la spiegazione a tutte le mie pene, perché quando un figlio scrive "Mai altro più di te potrà avermi" capisci l'amore e la profondità del sentimento che ti unisce a lui
Il senso del dolore non mi dava possibilità di poter sopravvivere, ma quello stesso dolore è stata la base della mia grande gioia.
Luca non è morto, il suo amore continua in me, e non posso scindere l'eterno che è in me
Ora ho capito il senso delle parole di madre madre di eterno, Era un compito eterno quello che dovevo assolvere, perché In ogni poesia di Luca c'e un invito a continuare, a lottare
Quando mi sono accorta che avevo sposato Luca dentro di me, ho capito che cosa intendeva con"madre di eterno"
Attraverso la comprensione della poesia madre, ho capito che quel grande dolore che avevo avuto, doveva portarmi ad amare tutti i luca e restiuire quell'amore che lui mi ha dato
Per 18 anni ho camminato sui carboni ardenti senza scottarmi
Luca ha vinto, ha vinto la sua vita, le sue parole, il suo amore"
Luca è riuscito a farmi guardare il cielo"
Credo che tutto questo, sia tutto
Grazie Olimpia, grazie Francesca, grazie Barbara, grazie ai moderatori, agli amici, ma soprattutto,
Grazie Luca


Riferimenti


Da "Cristina Parodi Live" il servizio di Francesca Barra sulla storia di Luca



mercoledì 17 settembre 2014

Il sogno di Eleonora - La strada verso Olympia


Sono le diciannove circa, e la luce si spegne nella sala di un luogo stupendo a Milano, l'Open, , ed inizia il racconto.

Un racconto di felicità, la felicità di Eleonora Riggi, che è riuscita a coronare il suo sogno, quello di riuscire ad andare a vedere il concerto della sua band del cuore, i Pooh, a Parigi, nel “tempio della musica pop di Parigi” come lo descrive lei, l’Olympia.

Detta così sembra una cosa normale, che normale, di fatto non lo è.

Eleonora è disabile, o diversamente abile, costretta in carrozzina, che recentemente, purtroppo, è entrata in coma, e vi è restata per circa quaranta giorni, e da quel coma è tornata, è tornata alla vita, anche se le conseguenze di questo momento sono state molto invasive, ed hanno compromesso ulteriormente la condizione già sacrificata e complessa della sua vita.

Ma il ritorno alla vita va ovviamente festeggiato, ed allora, incoraggiata e sostenuta da un caro amico, Nicola Palmarini, decide di affrontare il suo sogno, l’avventura più difficile ed entusiasmante di questo ritorno alla vita: volare a Parigi.

Ed anche Nicola decide di non volere che questo sogno, questa esperienza resti solo tale, vuole dare vita a questo racconto, attraverso le immagini, un Road Movie che possa trasmettere al pubblico tutte le emozioni di Eleonora, attraverso un cammino verso Parigi che, nella sua condizione, è particolarmente complesso, difficile ed oneroso sotto tanti aspetti, personali, economici e psicologici.

Vuole che possa diventare un percorso di rappresentazione e condivisione di quello che vuol dire essere disabile oggi, ma allo stesso tempo, avere l’opportunità di raccontare quello che Eleonora vuole trasmettere a tutti coloro che hanno il suo stesso tipo di condizione di vita, con grande coraggio, speranza e forza d’animo, e che con le sue stesse parole recita: “tutti abbiamo il diritto e dovere  di vivere la nostra vita, ognuno per le possibilità che la stessa ci dona, ma dobbiamo viverla, e la condizione di disabilità non deve mai essere un limite ai sogni, mai deve consentire a nessuno di pensare che la vita sia diversa dalle altre, ogni vita ha la sua condizione, e per questa condizione, deve essere vissuta, pienamente ed intensamente”.

Un messaggio bellissimo quello di Eleonora, un insegnamento per tutti quelli che, come me, hanno la fortuna di vivere una condizione di vita normale ma anche un messaggio fortissimo di esortazione per tutte le persone che invece vivono nella condizione simile ad Eleonora.

E qui nasce un documento stupendo, il film La strada verso Olympia, uno spaccato vivibile di una realtà vissuta intensamente, che trasporta immediatamente nella condizione reale e fa vivere le emozioni secondo una prospettiva nuova, di grande speranza, “una vista dal basso” che come dice Eleonora, contrariamente a chi è abituato a vedere le cose dall’alto, insegna sempre a scorgere aspetti nuovi ed interessanti della vita, semplicemente alzando la testa.

Ed i Pooh Eleonora li ha incontrati, prima del concerto. Li aveva già incontrati altre volte, ma questa volta anche loro restano sorpresi di questa sorpresa, perché nemmeno loro avrebbero mai immaginato che potesse essere li, a Parigi, all’Olympia. Ma questo è reale, è accaduto. ed un’altra cosa è accaduta. Fra le compromissioni del post coma, vi era stata la riduzione della sensibilità alle mani e le braccia di Eleonora, tanto da non consentirle nemmeno di tener più in mano il suo telefonino.
E le gioie e le felicità fanno accadere anche delle cose inaspettate: Eleonora, nel bel mezzo del concerto, oltre a cantare insieme a loro, si ritrova senza accorgersene, ad applaudire, a muovere di nuovo quelle braccia e quelle mani che per giorni ha mosso con difficoltà.


Un viaggio però che mette in evidenza anche e soprattutto  i limiti sociali, sociologici ed infrastrutturali in cui verte l’Italia, ma anche l’Europa stessa, limiti derivanti dalla carenza di strutture di supporto e trasporto, di accoglienza, limiti di accessibilità, di servizi, di consulenza, di disponibilità, a volte anche imbarazzanti, a volte drammatici, talvolta grotteschi, e qualche volta anche da riderci su.


Riderci su. Ecco la forza di Eleonora. Io l’ho conosciuta su Twitter. Mi colpiva la sua estrema sensibilità, gioia di vivere, simpatia e positività. Ed è questa, anche, la forza della Rete, che ci mette in contatto e crea opportunità di vita vera. Come dico sempre, la rete deve essere al servizio della vita vera, e mai il contrario, e questo è uno dei tanti esempi che hanno caratterizzato la mia esperienza sui Social, esperienza di grande valore.

Il film ha un taglio televisivo, molto curato, e bisogna riconoscere allo staff tecnico, fra cui Claudia Di Lascia, produttore esecutivo, Marco Pozzi, Michele Bizzi e Federico Monti, con le musiche di Diego Ricci, che sono riusciti a cogliere il profilo più bello della storia, eliminando pietismi gratuiti che sono sempre in agguato quando si raccontano questo tipo di storie, e mettendo in evidenza invece il messaggio più positivo della speranza, quel crederci che in fondo caratterizza sempre le realizzazioni dei nostri sogni, allo stesso tempo riuscendo a cogliere, rendendoli parte integrante ma non accessoria, tutti i limiti e le problematiche che, come detto, vengono affrontate in una condizione come quella di Eleonora, aspetti di natura didattica e divulgativa che possono essere un messaggio importante da condividere nelle nostre comunità locali.


La proiezione è finita.
siamo tutti pervasi dall’emozione, commozione e felicità, insieme a tante, tante  riflessioni per il racconto di questo viaggio, particolare, unico, che mette in evidenza quanta strada ancora ci sia da fare, non solo in Italia, per l'inclusione, integrazione e accessibilità delle persone diversamente abili, o disabili. 



E da qui nasce quindi una opportunità unica di divulgazione, nelle scuole, nelle comunità, nei comuni e nelle Istituzioni, aspetto trattato anche nel dibattito post proiezione, affinché l’esperienza di Eleonora possa essere quel catalizzatore di risorse sensibili che possa dare la spinta ad azioni e progetti di inclusione da un lato, e creare attraverso la scuola, ragazzi socialmente consapevoli che possano riflettere queste sensibilità nella loro professione di domani, siano essi architetti, geometri, rappresentanti delle Istituzioni e qualsiasi altro futuro possa raccogliere queste importanti e necessarie consapevolezze.

Grazie Eleonora per averci arricchito.



Link al trailer del Film TRAILER

lunedì 28 luglio 2014

L'indifferenza è il vero male nella lotta alla mafia - Incontro con PIF, Pietro Grasso e Geppi Cucciari al Festival dell'Argentiera

Una serata molto bella di grande spessore quella trascorsa Sabato 26 luglio nella stupenda cornice del Festival dell' Argentiera in compagnia di Geppi Cucciari che ha intervistato Pif,  ed il Presidente del Senato Pietro Grasso.

Il tema centrale era ovviamente la mafia, da un lato per l'erperienza di Magistrato, e dall'altro per l'esperienza di Pif, e del suo ultimo racconto cinematografico La mafia uccide solo d'estate. Due Siciliani a confronto. 

I temi di mafia sono stati affrontati con grande serietà ed allo stesso tempo con quel tocco di simpatia che solo Pif ci sa regalare, ben supportato da una Geppi in grandissima forma.

Filo conduttore sia di Pif che di Grasso è stato quello dell'indifferenza che è il male più grande nella lotta alla mafia, e che caratterizza una Palermo che ancora arranca sotto questo profilo.

Pif ha tracciato il tema dell'indifferenza riportando alla memoria i suoi ricordi di infanzia, come il commento "finchè si scannano fra loro", riferito ai regolamenti interni fra fazioni, oppure al fatto che le suore non gli facessero mai vedere film di mafia, quasi come se la mafia non esistesse.

Duri i ricordi di Pietro Grasso, nei periodi di lavoro a Palermo, citando di quando veniva emarginato dagli abitanti del quartiere  in quanto con l'apparato di protezione "davamo fastidio".

Parlando di Antimafia, Grasso ha stigmatizzato proprio il fatto che "ognuno di noi ha il dovere di fare qualcosa per cambiare questa società", e che l'indifferenza è proprio la percentuale che incide di più rispetto a coloro che invece agiscono per fare qualcosa. Allo stesso tempo, fra le iniziative antimafia, lo stesso Grasso ha ricordato quella lodevole di Comitato Addiopizzo di Palermo, nato dagli studenti, che conta oggi centinaia di aderenti, che a testa alta lotta incontro le mafie, esponendo nei loro negozi l'adesivo distintivo.
Sono stati momenti di grande commozione i ricordi che Pietro Grasso ha regalato alla platea ricordando gli anni del pool antimafia, dal ricordo di Falcone, e dell'accendino che gli diede poco prima di morire, quando decise di smettere di fumare, accendino che ancora oggi, Grasso porta sempre con se, alle parole di Caponnetto "ragazzo, vai avanti a testa alta, schiena dritta e segui sempre la voce della tua coscienza", Borsellino, di quella difficoltà di operare contro tutto e contro tutti, e di quegli insegnamenti di Legalità, rettitudine e giustizia che solo grandi uomini come loro hanno saputo sostenere, nella guerra alla mafia che ha cambiato il corso della storia giudiziaria in Italia.


Molto acuto ed interessante è stato da parte di Geppi Cucciari ripercorrere insieme a Pif ed a Grasso i 10 comandamenti di "cosa nostra", sfruttando proprio la conoscenza da parte di Grasso, maturata negli anni di lavoro a Palermo, dei meccanismi intrinsechi alla mafia stessa, aspetti che sono stati raccontati per spiegare il significato dei regolamenti, e che hanno fatto emergere lati molto particolari degli usi ed abitudini dell'organizzazione mafiosa.

Ed esilaranti come sempre i sipari di Pif, nei suoi racconti di ragazzo, di ciò che ha dato origine al suo film, racconti che hanno sempre quel retrogusto amaro, di un'Italia che ancora tanto ha da fare per riuscire a dare voce alle voci come quella di Pif, che attraverso il suo film, proiettato in lungo ed in largo in Italia, è riuscito a portare nelle scuole - con un messaggio innovativo - i temi di mafia e di legalità, riuscendo a suscitare il grande interesse degli studenti, e non solo.

Ma se da un lato la voce di Pif è riuscita a trovare una strada divulgativa, proprio il Servizio Pubblico televisivo e radiofonico spegne voci di programmi nazionali importanti come La bellezza contro le mafie di Francesca Barra, La tredicesima ora di Carlo Lucarelli, che erano invece il volano principale per dar voce alle voci che raccontano di mafia, di storie di antimafia, di esempi lodevoli ed importanti, conquistando spazio nei confronti delle mafie, dove proprio il silenzio e l'assenza di informazione creano terreno fertile per le mafie.

E lo Stato e le Istituzioni dovrebbero comprendere che invece queste voci devono restare accese, perché come diceva anche Borsellino "Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene"


Roberto Furesi

Foto Antonio Furesi

venerdì 11 luglio 2014

Saper accogliere come elemento distintivo di Civiltà di un Paese

Sono Rumeni, individuati dalla Polizia, gli autori dello stupro della Studentessa Polacca Erasmus violentata l'8 giugno del 2014
.
Sono "senzatetto" Rumeni per la precisione, etichettiamoli correttamente.

Sono profondamente vicino alla ragazza ed ai suoi familiari, per questo episodio grave, avvenuto nel nostro Paese, segnale che tanta strada abbiamo ancora da fare in temi di sicurezza nelle città, soprattutto quelle più grandi come Milano, perchè ogni cittadino deve avere il diritto di poter rientrare a casa, anche alle 3 del mattino, incolume.

Quindi un tema di ordine pubblico, di regolamentazione dell'accesso al nostro Paese, di verifica permessi, di restituzione ai paesi d'origine di coloro che delinquono, e che non rispettano le nostre regole.

Ma perchè generalizzare? Perchè assimilare la parola "senzatetto" a "delinquente stupratore", perchè l'immigrato è automaticamente un parassita della società, e dobbiamo emarginarlo e rigettarlo?

Ciò che leggo oggi nei social, relativamente a questo episodio mi spinge a questa riflessione profonda.

"Sono tutti delinquenti i senzatetto, e gli immigrati "non fanno un cazzo" per la società, anzi vengono trattati meglio che gli italiani. I senzatetto mendicano agli angoli delle strade e danno fastidio, e gli immigrati scorrazzano per la città violentando, rubando e delinquendo qua e la.
I senzatetto puzzano sono brutti a vedersi, vanno scacciati da panchine e luoghi pubblici, gli immigrati vendono abusivamente, spacciano e devono essere ghetizzati in aree periferiche delle città, che diventano veri e propri Bronx."

Allora vale la pena fare un po di riflessioni aperte, schiette, per guardarci negli occhi tutti, e prendere qualche consapevolezza, che ci faccia uscire dai nostri divani, dalle nostre sale ovattate dove con una device in mano di qualsiasi tipo, possiamo pontificare, politicare e puntare il dito su questi esseri spregevoli che si aggirano nelle nostre care e belle città, sotto attacco.

Ora, secondo me un delinquente nasce delinquente anche se è di un altro paese. E se viene qua viene perchè nel nostro paese si può delinquere meglio. Questo perchè abbiamo un sistema giudiziario più mite contro reati minori, e non applichiamo misure severe quando uno straniero delinque, rimpatriandolo e revocandogli la possibilità di rientrare nel nostro paese.Iniziamo da questo, che vale anche per la delinquenza comune perpetrata da italiani, rafforziamo le pene.

Questo per i delinquenti. Ma per gli immigrati che vogliono integrarsi onestamente, che cosa facciamo? Noi cittadini che cosa facciamo? Le istituzioni che cosa fanno? Noi, alle Istituzioni, come le esortiamo, sollecitiamo? Quanti progetti solidali e di sostegno proponiamo, rispetto alle attività commerciali e di profitto che svolgiamo? le Istituzioni, quanta percentuale della loro agenda economica dedicano al risanamento di queste fasce sociali? Mancano progetti concreti di inserimento nel ciclo produttivo, di sostegno e di programmazione a livello istituzionale. Tutto è lasciato alla buona volontà ed iniziativa di poche strutture e fondazioni, ecclesiastiche e para ecclesiastiche, che cercano di trovare al loro interno percorsi di sostegno e inserimento di tantissimi ragazzi e persone che arrivano, sbandate nel nostro paese, o che, nate nel nostro Paese, si sono perse per strada, e sono anch'esse, sbandate.

Ciò che serve è fare correttamente uno spartiacque, porre controlli e regole più ferree, per valorizzare e aiutare da un lato quegli immigrati che, nel nostro paese vogliono produrre e portare valore, espellendo dall'altro i criminali e coloro che non vogliono integrarsi. Ma generalizzare, classare e uniformare non aiuta a questo prezioso lavoro di qualificazione sociale.

E la grande vertà che niente di tutto questo è in atto, a parte una riforma del Terso Settore, in approvazione in questi giorni, che dovrebbe dare impulso e spinta alle organizzazioni sociali, alle imprese sociali e quindi ad un indotto di sostegno e solidarietà che si dovrà affiancare alle Istituzioni in questo percorso.
Altro tema è quello dei senzatetto, etichettati anch'essi come delinquenti, cancro della società, "indecorosi" in alcune aree della città stessa, rifiuti viventi.

Scacciati, denigrati, emarginati e considerati nulla o poco più, dimenticati e abbandonati, vengono subito tirati in ballo quando la parola "senza fissa dimora" viene assimilata a immigrati o nazionali che compiono reati di stupro o rapine, come se la condizione fosse la sola e irrinunciabile per delinquere, come se i delinquenti, gli stupratori, i rapinatori, gli scippatori, i pedofili e qualsiasi altra categoria di pervertiti, scegliesse la condizione di "senzatetto", per poter trovare la loro dimensione.

Ripeto, chi nasce delinquente stupratore lo è a prescindere dalla condizione umana, dal luogo in cui vive, e le condizioni sono relative al fine della riconoscibilità interiore dei percorsi della legalità.
Sicuramente la condizione di indigenza, di povertà e di disperazione, può favorire comportamenti destrutturati che possono anche portare alla piccola delinquenza.

Ho seguito più da vicino il mondo dei senzatetto, sostenendo attivamente il percorso intrapreso dalla giornalista e scrittrice  Francesca Barra a valle della sua esperienza personale per l'inchiesta che la ha portata a vivere con loro un mese.

Ho visto personalmente la difficoltà delle Istituzioni ad attivare percorsi concreti di sostegno e reinserimento nella società, aspetti questi che spesso sono surrogati da Associazioni, Fondazioni e onlus di caratura ecclesiastica o para ecclesiastica, con enormi difficoltà di collegamento e relazione con le Istituzioni stesse.

E questo aspetto viene trattato abbondantemente dal Rapporto 2014 della Caritas Ecclesiastica Italiana sulla povertà ed esclusione, che fa un quadro ampissimo della gravità della situazione complessiva, e sottolinea proprio quanto l'accesso alle organizzazioni di sostentamento ecclesiastiche, sia sempre di più caratterizzato da persone che non sono indigenti, ma che fanno fatica a sopravvivere, a causa delle rate di mutuo, delle bollette e sempre di più si rivolgono a tali strutture per avere i beni primari come il pasto, alimenti e quant'altro. Ma dallo stesso rapporto, e questo è l'aspetto più grave che va sottolineato, e portato all'attenzione delle Istituzioni, è il crescente impatto che su questa classe di meno abbienti abbia la criminalità mafiosa attraverso il racket delle scommesse e delle sale da gioco, che sono da sempre le scappatoie e le chimere della pre-povertà, in quanto ipoteticamente foriere di guadagni "facili". Questi business sono fra le principali cause che portano delle povertà forse anche recuperabili, all'indigenza totale ed abbandono.

Guardiamo quindi sempre con meno qualunquismo, miopia, razzismo e emarginazione a questo mondo che esiste fra noi, fatto di senzatetto e immigrati, per riuscire in tal senso, non generalizzando, ad identificare da un lato i casi negativi, e trattarli come tali, e valorizzare i casi positivi, che sono tantissimi, e che vanno sostenuti ed integrati, in un Paese che, come ho detto nel titolo, saprà gestire la distintività dell'accoglienza attraverso i temi sociali di integrazione e povertà, senza ghettizzazione ed emarginazione, uscendo dal paradigma dell'indifferenza sociale. Questo passa anche attraverso noi, la nostra opera, la dedizione del nostro tempo e competenze alle cause sociali, l'attivazione di sensori recettivi per supportare le organizzazioni solidali  nell'indirizzamento dei casi particolari, e la nostra fattiva contribuzione sociale.



Milano, 11 luglio 2014